Critica di Marco Tanzi

Quegli Antichi Maestri pionieri del web

[…] Si è voluto quindi, di concerto tra noi, elaborare questa mostra online secondo una dinamica espositiva deliberatamente flessibile e non costretta al cento per cento dalle gabbie della cronologia o della filologia più implacabile, pur non rinunciando, ovviamente alla consueta serietà dell’approccio scientifico.

È un’antologia piuttosto variegata sotto vari aspetti: nei soggetti, nella cronologia e nella qualità; i dipinti la fanno da padrone ma non mancano le incursioni nella scultura e nell’arte, qui nella sua declinazione più raffinata, dell’intarsio […]

Critica di Marco Tanzi

Selezione di Antichi Maestri

Antichi maestri, in questo caso, cremonesi e non, messi insieme da Paolo, e Michele e Sebastiano Mascarini nel corso degli anni, con una decisa accelerata nell’ultimo lustro, quando si è cominciata a intravedere una nuova consapevolezza nell’indirizzo dell’attività della galleria, che si è manifestata in un più consapevole sbilanciamento dal settore dei mobili antichi verso quello dei quadri e delle opere d’arte. Non una mutazione genetica ma un’oggettiva presa di coscienza delle nuove esigenze del mercato antiquario. Si è voluto quindi, di concerto tra noi, elaborare questa mostra online secondo una dinamica espositiva deliberatamente flessibile e non costretta al cento per cento dalle gabbie della cronologia o della filologia più implacabile, pur non rinunciando, ovviamente alla consueta serietà dell’approccio scientifico. È un’antologia piuttosto variegata sotto vari aspetti: nei soggetti, nella cronologia e nella qualità; i dipinti la fanno da padrone ma non mancano le incursioni nella scultura e nell’arte, qui nella sua declinazione più raffinata, dell’intarsio: una Vesperbild in pietra, un prestigioso gruppo in bronzo attribuito a Francesco Righetti ed una rara tarsia lignea di Giovanni Maffezoli. In questa cornice online, creata appositamente e che rappresenta il presente e futuro di questi eventi, si è voluto impostare il catalogo in maniera leggermente diversa rispetto a quelli canonici: niente testo critico vero e proprio o schede scientifiche per le opere ma confronti fotografici mirati e a volte più chiari rispetto a paginate di spiegazione, accompagnati da una descrizione semplice in cui si da conto sinteticamente dei dati stilistici e attributivi delle opere selezionate, ognuno inserito nella pagina dedicata al singolo pezzo. Buona visione!

La mostra

Pittore genovese, post 1565 (da Ottavio Semino) – Ritratto di Andrea Doria

Antichità Mascarini

Olio su tavola raffigurante Andrea Doria, uno degli uomini più potenti del Cinquecento, incredibile e temuto ammiraglio genovese.

  • Epoca:          post 1565
  • Misure:        cm 58 x 45
Valore ( 5.000 – 15.000€ )

Pittore genovese, post 1565 (da Ottavio Semino) – Ritratto di Andrea Doria

  • Venditore Antichità Mascarini
  • Dimensioni Tavola – cm 58 x 45
  • Epoca post 1565
  • Valore ( 5.000 – 15.000€ )
Descrizione

Questa esposizione si apre quindi con un emblematico Ritratto di Andrea Doria, che prende a modello quello affrescato da Ottavio Semino entro il 1552 nella Villa Centurione-Doria a Pegli (fig. 5), servito anche per illustrare il frontespizio della Vita del Prencipe Andrea Doria discritta da M. Lorenzo Capelloni, stampato a Venezia nel 1565.

 

Ottavio Semino (Genova, 1530 circa – Milano, 1604)

Figlio d’arte di Antonio Semino, pittore genovese rinomato, ebbe la propria formazione nella città natale, nella stessa bottega del padre e dagli esempi manieristi locali di Perin del Vaga in Palazzo Doria.
Dopo un soggiorno a Roma per studiare le tecniche dei grandi maestri che lavoravano per lo Stato Vaticano fece ritorno a Genova dove mostrò le sue eccellenti qualità di pittore di affreschi.
Nel corso degli anni ’60 del Cinquecento lavorò a varie committenze con il fratello a Milano, tra cui alcuni affreschi di Palazzo Marino.
Nella seconda metà di quel decennio, nel 1567, decorò il refettorio e la controfacciata della Certosa di Pavia per poi tornare in patria,  impegnandosi in numerosi affreschi nei palazzi dei signori genovesi.

Fece ritorno a Milano solo nel 1571, dove passò il resto della sua vita artistica e non, morendo improvvisamente nel 1604 in casa del suo Mecenate, il Conte d’Adda.

 

Nota: Per la tipologia del Ritratto di Andrea Doria, di cui esistono diverse copie, tra le quali quella di Cristofano dell’Altissimo agli Uffizi (inv. 1890, n. 123), rimando a L. Stagno, Lorenzo Capelloni, la corte di Andrea Doria e l’immagine del Principe, in Umanisti in Oltregiogo. Lettere e arti fra XVI e XIX secolo, a cura di G. Ameri, Novi Ligure 2013, pp. 1-27. Ringrazio Laura Stagno per la gentilezza e la segnalazione di altri esemplari, tra i quali quello in Palazzo del Principe a Genova: si veda A. G. De Marchi, Collezione Doria Pamphilj. Catalogo generale dei dipinti, Cinisello Balsamo 2016, pp. 406-407, con citazione di ulteriori repliche.

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Bottega di Bernardino Campi – Imperatore romano

Antichità Mascarini

Olio su tela raffigurante Imperatore, proveniente dalla bottega di Bernardino Campi. Si tratta forse della prima versione del suo Domiziano, l’imperatore che “mancava” nella celebre serie di Tiziano. Questo ritratto, ci si chiede, se non fosse quello realizzato inizialmente da Bernardino ed utilizzato poi come modello dai suoi collaboratori.

  • Epoca:          1550 – 1560
  • Misure:        cm 131,5 x 94
Valore ( oltre 15.000€ )

Bottega di Bernardino Campi – Imperatore romano

  • Venditore Antichità Mascarini
  • Dimensioni Tela – cm 131,5 x 94
  • Epoca Fine XVI secolo
  • Valore ( oltre 15.000€ )
Descrizione

Potremmo definire a grandi linee «campeschi» i dipinti successivi perché legati in modo tangibile alla grande stagione della pittura a Cremona, tra maniera e vero di natura. L’ Imperatore romano  che esce dalla articolata bottega dello stesso Bernardino negli anni estremi del XVI secolo, in stretto collegamento con le numerose serie che il Campi copiò dai Cesari tizianeschi in Palazzo Ducale a Mantova (figg. 5-6). Questa tela però propone una serie di problemi tutt’altro che ovvi, nel senso che questa specie di John Goodman nel Grande Lebowsky, in realtà non corrisponde a nessuna delle immagini a mezzobusto degli undici Cesari che erano state dipinte da Tiziano Vecellio tra il 1537 e il 1539 per Federico II Gonzaga; e nemmeno al dodicesimo, Domiziano, quello mancato da Tiziano e inventato da Bernardino Campi per le sue repliche seriali. Si insinua quindi la domanda se questo non sia il riflesso di un’elaborazione di Bernardino per il suo Domiziano poi portato a compimento secondo formule molto diverse: ovvero la copia di un dipinto campesco non terminato e rimasto nella bottega del pittore a fare da modello per i suoi collaboratori.

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Vincenzo Campi e bottega – Cristo nell’orto confortato da un angelo

Antichità Mascarini

Vincenzo Campi, circ 1536 – 1591

Olio su tavola incamottata, raffigurante Cristo nell’Orto dei Getsemani, soggetto che ha avuto una grande fortuna nella famiglia Campi.

L’opera in questione è una notevole commistione di dettagli che appartengono sia ad Antonio e a Vincenzo, propendendo però verso quest’ultimo.

  • Epoca:          1580 – 1590
  • Misure:        cm 62 x 44
Valore ( oltre 15.000€ )

Vincenzo Campi e bottega – Cristo nell’orto confortato da un angelo

  • Venditore Antichità Mascarini
  • Dimensioni Tavola incamottata – cm 62 x 44
  • Epoca 1580 – 1590
  • Valore ( oltre 15.000€ )
Descrizione

C’è poi un Cristo nell’orto confortato da un angelo su tavola : è il frutto delle riflessioni condotte in un intenso dialogo familiare su questo tema della Passione da Antonio e Vincenzo Campi, tra ottavo e nono decennio del secolo; ed esce direttamente, nella circostanza, dalla bottega di Vincenzo, con percepibili interventi del maestro. La tavola rappresenta una sorta di calibrata contaminazione iconografica tra il modello che Antonio mette in opera nelle pale di Santa Maria della Noce a Inverigo (fig. 6) e della collezione Monti all’Arcivescovado di Milano (rispettivamente 1577 e 1581), e che Vincenzo invece varia, con dovuto rispetto e personale ispirazione, nella tela del Real Colegio y Museo del Patriarca a Valencia (fig. 5). La fortuna del prototipo campesco, nelle sue diverse redazioni, è testimoniata da una serie di repliche e copie di livello e qualità variabili in collezioni pubbliche e private (ne sono comparse varie anche in aste recenti): ho scovato l’ennesima redazione di recente, pienamente seicentesca e sempre cremonese, nell’atrio che conduce alla sagrestia nella basilica della Santa Casa di Loreto (fig.8).

 

 

Per un riesame di queste vicende si veda M. Tanzi, Misto Cremona, 1, in «Kronos», 9, 2005, pp. 132-136 (pubblico il dipinto ora esposto alla fig. 19); Idem, Un «Cristo nell’orto» di Antonio Campi, in «Kronos», 15, 2013, pp. 219-224.

Si veda in G. Santarelli, L’arte a Loreto, Camerino 2016, p. 211, fig. 211, con attribuzione a Paolo Veronese. La tela è già degli anni di Genovesino e potrebbe spettare, forse, a Giovanni Battista Tortiroli.

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Coriolano Malagavazzo – San Francesco riceve le stigmate

Antichità Mascarini

Coriolano Malagavazzo –  Cremona, circa 1547 – Milano, 1595

Olio su tavola raffigurante San Francesco riceve le stigmate di questo pittore ancora poco noto, ma la cui fama al tempo gli valse una commissione per Santa Maria delle Grazie a Milano. La bellissima composizione, nonostante non si sia individuato il modello di riferimento preciso, rimanda ad una celebre incisione di Dürer.

 

  • Epoca:          fine XVI secolo
  • Misure:        cm 148,5 x 113,5
Valore ( oltre 15.000€ )

Coriolano Malagavazzo – San Francesco riceve le stigmate

  • Venditore Antichità Mascarini
  • Dimensioni Tela – cm 148,5 x 113,5
  • Epoca Fine XVI secolo
  • Valore ( oltre 15.000€ )
Descrizione

Anche una paletta d’altare con San Francesco riceve le stigmate è il portato di un’accesa meditazione sulla raffigurazione del miracolo francescano nell’ambiente campesco: l’immersione del santo con il compagno frate Leone nell’ampio paesaggio boschivo – che pure denuncia il rimando tardivo a una celebre incisione di Albrecht Dürer (fig. 6) –, torna in alcune opere di Vincenzo, come la bella tela di Brera (Reg. Cron. 7362), suggerendo che il suo autore possa essere uno stretto collaboratore dei Campi. Non sono riuscito tuttavia a trovare il modello di riferimento preciso, nelle diverse varianti iconografiche delle Stigmate fornite dai fratelli cremonesi. L’impressione più concreta sul versante attributivo, grazie ai confronti d’ordine stilistico che si possono stabilire con le opere certe e soprattutto con la tarda Trinità di Romano di Lombardia (1593), con il Battesimo di Cristo eseguito insieme a Bernardino Campi nella parrocchiale di Caravaggio e con l’Assunzione della Vergine nella Chapelle des Pénitents blancs di Levens, presso Nizza (1587), è che si possa trattare dell’ancora poco noto Coriolano Malagavazzo, il quale godeva di meritata fama tra i contemporanei tanto da avere l’importante commissione di una pala per Santa Maria delle Grazie a Milano. Un impianto compositivo in parte analogo, probabilmente elaborato in ambiente cremonese, si ritrova in una tela nel monastero delle Cappuccine di Carpi, riferita a un anonimo lombardo di primo Seicento, forse però anticipabile ancora sul crinale del XVI secolo.

 

Note:
Sul Malagavazzo occorre tornare ad A. Maccabelli, in I Campi e la cultura artistica cremonese del Cinquecento, catalogo della mostra, Milano 1985, pp. 220-222. Va piuttosto ricordato che di recente Agostino Allegri ha riconosciuto nella parrocchiale di Cortetano la Madonna con il Bambino in gloria e i Santi Francesco e Ignazio d’Antiochia, eseguita da Coriolano su disegno di Bernardino Campi per la chiesa di San Silvestro a Cremona: sulla pala, ridipinta in modo che i due santi prendessero le sembianze di Antonio di Padova ed Erasmo, e sul disegno preparatorio si veda M. Di Giampaolo, On a Cremonese Drawing of the sixteenth century at Oxford [1974], in M. Di Giampaolo, Scritti sul disegno italiano 1971-2008, a cura di C. Garofalo, Firenze 2010, pp. 54-57.

È riprodotto in Le mura del silenzio. Monasteri femminili tra Po e Crinale, Modena 2001, pp. 71, 159.

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Grazio Cossali (da Francesco Bassano) – Giovane con flauto

Antichità Mascarini

Grazio Cossali
Orsinuovi, 1563 – Brescia, 1629

Olio su tela raffigurante Giovane con flauto, tratto da un quadro celebre di Francesco Bassano. Cossali fu infatti esperto copista: l’originale di questo dipinto si trova al Kunsthistosches Museum di Vienna e se ne può ricostruire la vicenda collezionistica anche grazie a David Teniers all’interno della sua Galleria dell’Arciduca Leopoldo Guglielmo a Bruxelles.

  • Epoca:          primi decennni del XVII secolo
  • Misure:        cm 54 x 44,5
Valore ( 5.000 – 15.000€ )

Grazio Cossali (da Francesco Bassano) – Giovane con flauto

  • Venditore Antichità Mascarini
  • Dimensioni Tela – cm 54 x 44,5
  • Epoca inizio XVII secolo
  • Valore ( 5.000 – 15.000€ )
Descrizione

È in qualche modo partecipe della temperie post campesca, oltre a essere un esperto copista, anche l’orceano Grazio Cossali, attivo soprattutto tra Brescia e il territorio: a Cremona lascia il grande telero con la Caduta della manna in Palazzo Comunale, eseguito per il refettorio di San Domenico nel 1587, e una Pentecoste del 1618, copiata da un’importante pala milanese di Antonio Campi, ora in Palazzo Vescovile. Il dipinto esposto è la copia da un dipinto su rame di Francesco Bassano, il Giovane con flauto del Kunsthistorisches Museum di Vienna (inv. GG 8; fig. 4), che ha una vicenda collezionistica importante, avendo fatto parte della raccolta del veneziano Bartolomeo della Nave prima, e poi di quella dell’arciduca d’Austria Leopoldo Guglielmo d’Asburgo a Bruxelles, negli anni in cui ricopriva la carica di governatore dei Paesi Bassi.

 

Note:
Sul pittore si veda la vecchia monografia di L. Anelli, Grazio Cossali pittore orceano, Orzinuovi 1978, p. 190; L. Bandera, Grazio Cossali e la pittura cremonese, in «Arte lombarda», 58-59, 1981, pp. 52-55. Per la Pentecoste di Antonio Campi, di proprietà di Brera (Reg. Cron. 5637), eseguita nel 1580 per la cappella attigua alle Sale dei Senatori in Palazzo Ducale a Milano e finita nella parrocchiale dei Santi Pietro e Paolo di Gessate, si veda G. Bora, in Pinacoteca di Brera. Scuole lombarda, ligure e piemontese 1535-1796, Milano 1989, pp. 135-138, n. 69.

Lo riproduce più volte David Teniers il Giovane, pittore di corte e direttore delle collezioni dall’arciduca: in uno dei vari dipinti in cui fotografa la galleria, oggi presso la Staatsgalerie del castello di Schleissheim (inv. 1840; fig. 12b) presso Monaco di Baviera; nella tavolina, sempre nel Kunsthistorisches Museum di Vienna (inv. GG 9708), oltre che nel suo Theatrum pictorium edito a Bruxelles nel 1660, per il tramite dell’incisione, naturalmente in controparte, di Jan van Troyen.

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Fede Galizia (?) – San Carlo Borromeo in adorazione dell’Eucarestia

Antichità Mascarini

Fede Galizia (?)
Milano, 1578 – 1630

Olio su tavola raffigurante San Carlo Borromeo in adorazione dell’Eucarestia, forse attribuibile a Fede Galizia, di ottima qualità e conservazione. I dettagli e la resa del viso (chiara la derivazione dalla maschera mortuaria del santo) e l’ottima fattura delle mani congiunte in preghiera ne attestano l’elevata qualità pittorica.

 

  • Epoca:          Inizi del XVII secolo
  • Misure:        cm 26,7 x 21
Valore ( 0 – 5.000€ )

Fede Galizia (?) – San Carlo Borromeo in adorazione dell’Eucarestia

  • Venditore Antichità Mascarini
  • Dimensioni Tavola – cm 26,7 x 21
  • Valore ( 0 – 5.000€ )
Descrizione

Si apre quindi un capitolo di pittura milanese tra Cinquecento e Seicento: sono soprattutto ritratti ma c’è anche una deliziosa tavoletta volta alla devozione privata con San Carlo in adorazione dell’Eucarestia, che mostra la derivazione del volto dalla maschera mortuaria del santo, per quella inequivocabile smorfia della bocca che si irrigidisce in sorriso. La raffinatezza esecutiva, che si ravvisa in particolare nella resa preziosa dei paramenti, spinge a indagare nella situazione figurativa di Milano a cavallo dei due secoli, tra i pittori devoti non ancora intrigati dalle ossessioni torbide e grandiose dei «pestanti», come potrebbero essere, per esempio, il monferrino Guglielmo Caccia detto il Moncalvo o Fede Galizia, con una predilezione più accentuata per quest’ultima in considerazione dei rapporti con il San Carlo che porta la croce con il Santo Chiodo del Museo del Duomo di Milano (fig. 5), ma soprattutto con l’aristocratica minuzia pittorica e decorativa per le rifiniture di dipinti come la Giuditta di Sarasota (The John and Mable Ringling Museum of Art; inv. SN684) o il Noli me tangere in Santo Stefano a Milano.

 

Nota: Riproduzioni in F. Caroli, Fede Galizia, Torino 1989, figg. 2, 24, 44.

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Fede Galizia – ritratto di anziano gentiluomo fulvo

Antichità Mascarini

Fede Galizia (?)
Milano, 1578 – 1630

Olio su tela raffigurante Ritratto di anziano gentiluomo fulvo, ancora più incline alla mano di Fede Galizia, della quale si nota la somiglianza innegabile con il Ritratto di un medico (Ludovico Settala).

  • Epoca:          Inizi del XVII secolo
  • Misure:      cm 49 x 35
Valore ( 5.000 – 15.000€ )

Fede Galizia – ritratto di anziano gentiluomo fulvo

  • Venditore Antichità Mascarini
  • Dimensioni Tela – cm 49 x 35
  • Epoca Inizi del XVII secolo
  • Valore ( 5.000 – 15.000€ )
Descrizione

Mi sembra che si possa riferire alla pittrice, con maggiori margini di garanzia, anche l’espressivo Ritratto di anziano gentiluomo fulvo, fortemente caratterizzato dall’espressione puntuta, alla Paolo Stoppa, e dal colore dei capelli; in apprezzabile relazione stilistica con l’accigliato Ritratto di un medico con in mano un teschio, a lungo identificato in Ludovico Settala (fig. 4), già nella raccolta di Mina Gregori, quindi in quella di Luigi Koelliker.

 

Nota: Per il presunto Settala si veda M. C. Terzaghi, in Il ritratto in Lombardia da Moroni a Ceruti, catalogo della mostra, a cura di F. Frangi e A. Morandotti, Ginevra-Milano 2002, pp. 104-105, n. 31.

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Giovanni Andrea Bianchi detto il Vespino – Ritratto di Gian Giacomo Trivulzio

Antichità Mascarini

Giovanni Andrea Bianchi detto il Vespino
documentato in Lombardia tra il 1613 ed il 1630

Olio su tela raffigurante Ritratto di Gian Giacomo Trivulzio, uno dei grandi protagonisti, tra XV e XVI secolo della storia di Milano. Questa grande tela, di cui non si è trovato l’esatto prototipo, ha la sua provenienza da qualche dimora trivulziana e potrebbe essere attribuita a Giovanni Andrea Bianchi detto il Vespino.

  • Epoca:         Inizi del XVII secolo
  • Misure:       cm 215 x 131
Valore ( oltre 15.000€ )

Giovanni Andrea Bianchi detto il Vespino – Ritratto di Gian Giacomo Trivulzio

  • Venditore Antichità Mascarini
  • Dimensioni Tela – 215 x 131
  • Epoca Inizi del XVII secolo
  • Valore ( oltre 15.000€ )
Descrizione

Segue un altro ritratto, di grandi dimensioni e a figura intera, che effigia uno dei lombardi più potenti tra XV e XVI secolo, come in parte i suoi titoli onorifici elencano nella lunga iscrizione ai piedi del condottiero: è Gian Giacomo Trivulzio detto il Magno (1442-1518). Non è questa la circostanza per affrontare le vicende storiche e biografiche di un protagonista indiscusso della storia di Milano tra Sforza e Francia, sul quale sono stati versati fiumi di inchiostro, anche relativamente agli aspetti del mecenatismo artistico di straordinario livello: vorrei piuttosto limitarmi a qualche osservazione sul dipinto esposto. Nella congerie infinita di ritratti del Magno – dipinti, sculture, monete e medaglie, incisioni, tessuti – che decoravano in maniera seriale i possedimenti del Trivulzio non sono infatti riuscito a recuperare il prototipo della nostra grande tela, la cui composizione, a tutta prima, non riflette un modello eseguito quando il maresciallo era in vita ma sembra piuttosto rispecchiare un’opera celebrativa eseguita nella seconda metà avanzata del Cinquecento; anche l’età, decisamente più giovanile rispetto all’immagine tradizionale consegnataci dall’iconografia trivulziana, si discosta dagli esemplari conosciuti. Se solo si scorrono gli inventari familiari si incontra una marea di ritratti di Gian Giacomo e, verosimilmente, anche questa tela ha la sua provenienza da qualche dimora trivulziana; per quanto riguarda lo stile, incrociato con i documenti a disposizione, non mi sembra troppo azzardata un’attribuzione al più celebre copista della Milano di Federico Borromeo, Giovanni Andrea Bianchi detto il Vespino, che compare nei libri mastri Trivulzio dal 1613 alla morte (ante 9 febbraio 1630), quasi sempre per l’esecuzione di ritratti.

 

Note:
Per l’iconografia del Magno si veda, con tutte le riserve del caso, M. Viganò, Gian Giacomo Trivulzio e Leonardo. Appunti su una committenza (1482-1518), in «Raccolta Vinciana», xxxiv, 2011, pp. 1-52; di ben altro spessore A. Squizzato, I Trivulzio e le arti. Vicende seicentesche, Milano 2013, passim.

Per i rapporti tra i Trivulzio e il Vespino si veda Ibidem, pp. 184-185. Circa il pittore, per mettere in relazione il suo nome con la nostra tela, più che alle celebri copie leonardesche dell’Ambrosiana si può fare ricorso ai dati dello stile e alla consistenza bituminosa della tavolozza in dipinti come le due tele con Sant’Ambrogio e San Carlo Borromeo di San Bernardino alle Ossa (figg. 18a-b), la Madonna del Rosario di Brissago e la tavoletta già Monti della Galleria Arcivescovile di Milano (inv. 256) con Cristo crocifisso e un frate francescano (rispettivamente: M. Gregori, in Il Morazzone, catalogo della mostra, a cura di M. Gregori, Milano 1962, pp. 122-123, nn. 108-109, tav. 242; L. Damiani Cabrini, in Pittura a Como nel Canton Ticino dal Mille al Settecento, Cinisello Balsamo 1994, pp. 318-319, tav. 107; F. Frangi, in Le stanze del Cardinale Monti 1635-1650. La collezione ricomposta, catalogo della mostra, Milano 1994, p. 200, n. 70).

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Giovanni Stefano Danedi detto Montalto – San Sebastiano curato da due angeli

Antichità Mascarini

Giovanni Stefano Danedi detto Montalto
Treviglio, 1612 – Milano, 1690

Olio su tela raffigurante San Sebastiano curato da due angeli, soggetto estremamente fortunato e più volte replicato dalla prestigiosa bottega trevigliese.

  • Epoca:         seconda metà del XVII secolo
  • Misure:       cm 126 x 96
Valore ( 5.000 – 15.000€ )

Giovanni Stefano Danedi detto Montalto – San Sebastiano curato da due angeli

  • Venditore Antichità Mascarini
  • Dimensioni Tela – cm 126 x 96
  • Valore ( 5.000 – 15.000€ )
Descrizione

Segue il prodotto di una bottega di stanza a Milano sulla metà del secolo, ma richiestissima dai principali committenti dell’aristocrazia settentrionale e molto attiva in tutta l’area lombarda e piemontese, con significative propaggini anche nell’Emilia occidentale: quella dei Danedi, detti i Montalto, originari rispettivamente di Treviglio. L’impresa familiare sarà impegnata nel grande cantiere cremonese di San Domenico per lavori di notevole prestigio; dei Montalto tuttavia è andato perduto il telero con Daniele nella fossa dei leoni che ornava il presbiterio, mentre si è conservata una bella teletta di Giovanni Stefano già nel tempio dei predicatori con l’Amor sacro e l’amor profano, ora in collezione privata ma da poco concessa in deposito al Castello visconteo di Pavia, acutamente identificata, con il disegno preparatorio, da Adam Ferrari. Allo stesso Giovanni Stefano Danedi spetta il San Sebastiano curato da due angeli qui esposto: un soggetto fortunato e più volte replicato nella bottega del trevigliese, se un’altra redazione molto simile è recentemente passata sul mercato antiquario; abbiamo voluto affiancarlo all’immagine di una teletta affollata di amorini ben pasciuti e sgambettanti, tipica di una certa sua produzione (fig. 6).

 

Nota: F. Superti Furga, Da Giampietrino a Segantini. Dipinti della collezione Superti Furga al Castello visconteo di Pavia, Missaglia 2016, p. 58, n. 13.

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Bernardino De Hò – San Rocco

Antichità Mascarini

Bernardino De Hò
Cremona, 1675 – documentato fino al 1729

Olio su tela raffigurante San Rocco, di questo autore più noto per il genere delle bambocciate, ma che qui dimostra di poter essere affiancato ad altri pittori di rilievo.

  • Epoca:        primi decenni del XVIII secolo
  • Misure:      cm 130 x 90
Valore ( oltre 15.000€ )

Bernardino De Hò – San Rocco

  • Venditore Antichità Mascarini
  • Dimensioni Tela – cm 130 x 90
  • Valore ( oltre 15.000€ )
Descrizione

Al corpus dei dipinti sacri di Bernardino De Hò, certamente più noto per le scene di genere affollate di nani grotteschi e un po’ ributtanti, almeno al mio gusto, spetta una bella tela con un prestante San Rocco, giocato su toni terragni di bruni e marrone che si stagliano con eleganza contro un cielo di piombo: un’opera di rilievo per il pittore originario di Drizzona, tale da non sfigurare nel catalogo di Francesco Boccaccino o di Angelo Massarotti. In questo caso le analogie principali si possono stabilire con la grande pala in San Michele a Voltido (Madonna in gloria con i Santi Giuseppe, Girolamo, Rocco e Antonio di Padova: fig. 6), che reca lo stemma dei Picenardi e la data 1711, e con quella dell’anno successivo con la Crocifissione e Santi in San Leonardo a Villa Rocca di Pessina Cremonese.

 

Nota: M. Tanzi, Casalmaggiore primo amore, in in Barocco nella Bassa. Pittori del Seicento e del Settecento in una terra di confine, catalogo della mostra, a cura di M. Tanzi, Milano 1999, pp. 28-29, fig. 19; M. Tavola, Un bambocciante a Cremona: Bernardino De Hò, in Studi e bibliografie 6 cit., p. 190, fig. 5.

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Scultore del Polesine – Vesperbild

Antichità Mascarini

Scultore del Polesine
fine del XV secolo

Statua in pietra raffigurante Pietà dalle rimembranze nordiche, ma che appartiene al tardo Quattrocento padano.

  • Epoca:        fine XV secolo
  • Misure:      h cm 75
Valore ( oltre 15.000€ )

Scultore del Polesine – Vesperbild

  • Venditore Antichità Mascarini
  • Dimensioni Pietra – altezza cm 75
  • Epoca Fine del XV secolo
  • Valore ( oltre 15.000€ )
Descrizione

Non manca tuttavia un’appendice, con una scultura di notevole interesse, per tema e collocazione geografica: si tratta di un Vesperbild in pietra del tardo Quattrocento padano, con il recupero espressivo del tema della Pietà di matrice dichiaratamente nordica, d’oltralpe, con la rappresentazione patetica della Madre angosciata che regge sulle ginocchia il corpo esanime del Figlio. È un gruppo scolpito senza dubbio alla luce di elementi stilistici tipici della cultura figurativa dell’Italia settentrionale: in particolare, a mio avviso, dell’area veneta, di un Veneto di periferia, però, che potrebbe a mio avviso trovare con maggiore precisione la sua collocazione geografica nella zona del Polesine, tra Rovigo e Ferrara.

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Giovanni Maffezzoli – tarsia Allegoria della Scultura (?)

Antichità Mascarini

Giovanni Maffezzoli
Cremona, 1776 – 1818

Tarsia in varie essenze raffigurante probabilmente L’allegoria della Scultura, dell’intarsiatore ritenuto dallo stesso Maggiolini come il suo miglior allievo. Il pezzo qui esposto è antecedente alle tarsie neoclassiche che lo resero celebre, probabilmente risalente agli ultimi anni del Settecento. I dettagli sono minuziosi e fitti, la scena complessa, allegorica e completa di figure e personaggi tipici della pittura dell’epoca, è inserita in un paesaggio reso con maestria.

  • Epoca:        ultimi anni del Settecento (1795?)
  • Misure:      cm 43,5 x 58,5
Valore ( 5.000 – 15.000€ )

Giovanni Maffezzoli – tarsia Allegoria della Scultura (?)

  • Venditore Antichità Mascarini
  • Dimensioni tarsia lignea in varie essenze – cm 43,5 x 58,5
  • Epoca ultimi anni del 1700 (1795?)
  • Valore ( 5.000 – 15.000€ )
Descrizione

Giovanni Maffezzoli fu indubbiamente il miglior allievo di Giuseppe Maggiolini (Parabiago 1738 – 1814) se non altro perché non copia pedissequamente in suoi modelli, come altri, ma li trasforma o ne utilizza di suoi proprio quali terreni di massi e cespugli, frammenti di capitelli e colonne antiche, vedute architettoniche e di antiche città. Di questa sua propensione sono testimonianza un gruppo di disegni a lui attribuiti rinvenuti nel Fondo Maggiolini delle raccolte artistiche del Comune di Milano, presi dal pittore Giuseppe Levati (Concorezzo 1739 – Milano 1828) che Maffezzoli conosce per frequentazione della bottega del suo maestro. L’interesse collezionistico per i mobili e i pannelli a tarsia (un genere diverso e per certi versi nuovo, forse per l’interesse e il riscontro trovate nel gusto dei committenti cremonesi) è costante tra i diversi decenni per l’evidente esclusività e raffinata esecuzione che fanno sicuramente rientrare queste realizzazioni di un’arte minore nel campo di vere e proprie opere d’arte. […] gli studi sulla sua attività non sono molti e si posso contare sulle dita di una mano. Uno della prof.ssa Luisa Bandera del 1964 sui mobili poi dispersi di palazzo Mina Bolzesi. Un altro del 1980 di Alvar Gonzalez Palacios riunisce una serie di arredi con tratti di stile coerenti alla sua maniera, provenienti dal mercato antiquario. Altri studi sono del Dott. Mario Tavella, Responsabile Sotheby’s a Parigi, e dello storico dell’arte Roberto Valeriani sui pannelli a tarsie tratte dai dipinti di Giuseppe Diotti (Casalmaggiore 1779 – 1816) (che guarda caso esegue diversi affreschi proprio in Palazzo Mina Bolzesi) e Luigi Sabatelli (Firenze 1772 – Milano 1850) […] Prof. Giuseppe Beretti, dal catalogo Asta n. 376 del 26/10/2016, lotto n. 499 de Il Ponte Casa d’Aste. Ultimo in ordine di tempo ma di grande importanza per aggiungere nuovo materiale, una catalogazione ragionata e notizie di archivio inedite, la tesi di laurea magistrale di Riccardo Arcari, che dà, con scientifica chiarezza, una logica e strutturata omogeneità della vita e dell’opera di Maffezzoli, per averci dato la possibilità di pubblicare le notizie tratte dal suo lavoro, che ci hanno permesso di redigere questa scheda in molte parti fondamentali.

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Francesco Righetti – Toro Farnese

Antichità Mascarini

Francesco Righetti
Roma, 1749 – 1819

Grande gruppo in bronzo raffigurante Toro Farnese, datato ai primi anni dell’Ottocento e attribuito ad uno dei maggiori bronzisti dell’epoca, erede di Valadier. La fuzione è di una qualità eccelsa, dettagliata in tutti i componenti, dal toro al centro della composizione, fino alle ghirlande e i rettili che adornano il basamento.

  • Epoca:        primi anni del XIX secolo
  • Misure:      cm 49 x 43 x43
Valore ( 5.000 – 15.000€ )

Francesco Righetti – Toro Farnese

  • Venditore Antichità Mascarini
  • Dimensioni Bronzo – cm 49 x 43 x 43
  • Epoca 1800 circa
  • Valore ( 5.000 – 15.000€ )
Descrizione

Francesco Righetti (Roma 1749-1819)

Scultore, orafo e bronzista, Righetti si forma presso Luigi Valadier e alla sua morte ne diventa il successore, portando anche avanti la sua proficua attività di esecuzione di repliche dall’antico di statue celebri, tra le quali si ricorda proprio il celebre Toro Farnese, il gruppo scultoreo ellenistico noto per essere la più grande scultura dell’antichità giunta fino ai nostri giorni.
Ritrovato nelle terme di Caracalla a Roma nel 1545, la scultura passò prima all’ultimo erede della famiglia Farnese Carlo di Borbone, insieme al resto della collezione di antichità messa insieme da papa Paolo III, e nel 1788 fu trasferita a Napoli con Ferdinando IV di Borbone, dove trovò probabilmente impiego come fontana della villa reale della città fino al suo spostamento presso il museo archeologico di Napoli, dove fu collocato nel 1826.

Il soggetto, raffigurante i figli di Antiope, Anfione e Zeto, che per vendicare le offese inflitte alla madre da Dirce la legano a un toro selvaggio, fu spesso replicato nei secoli successivi alla sua scoperta, con l’aggiunta anche di personaggi secondari quali un cane, una figura femminile, un bambino. Tra le repliche più note si possono menzionare le due realizzate da Antonio Susini, ora rispettivamente al Villa Borghese a Roma e all’Ermitage di San Pietroburgo; altre repliche del celebre gruppo di trovano al Bayerisches Nationalmuseum di Monaco e al Museo di Capodimonte di Napoli.

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